“Com’erano belli i negozi di via Gioberti a Firenze!“. Ecco quello che diremo tra qualche anno, forse 10, forse qualcuno di più, ma che via Gioberti stia diventando la nuova China Town di Firenze, per me che ho vissuto in zona Sarpi a Milano, ci sono pochi dubbi. Cominciano così: acquistando un bugigattolo che diventa una sartoria per riparazioni, poi apre un parrucchiere che fa pagare 10 euro la piega e affianco apre un nail-center super-economico. Alle signore della Firenze-bene pare divertente andarsi a fare piega e unghie a prezzi scontatissimi e ne parlano con le amiche. Appaiono i cartelli, in doppia lingua, italiano e cinese, in cui si cerca casa in zona, i bambini iniziano a frequentare le scuole più vicine e al negozietto con abitucci sintetici cinesi da mercato senza troppe pretese, si affianca uno mercatino asiatico in cui si trova di tutto un po’, super-alcolici compresi.
Quando ho comprato casa in zona Sarpi a Milano alla fine degli anni ’90 ricordo che era già pieno di negozi all’ingrosso cinesi. Avevo appuntamento con mia madre che mi chiamo per dirmi che era all’indirizzo che le avevo comunicato ma c’era sicuramente un errore perchè in giro tutti erano cinesi … invece l’indirizzo era giusto, via Niccolini, una traversa di via Paolo Sarpi, già China Town milanese. Oltre ai negozi cinesi, però, c’erano anche una libreria Feltrinelli, un parrucchiere Jean Louis David e tanti altri negozi ‘normali’. Nel mio condominio, per esempio, non vivevano cinesi, ad esclusione dei proprietari del negozio di alimentari all’angolo, di cui alle riunioni di condominio ci lamentavamo per il pesce congelato stipato in cantina, per l’odore di pesce fritto che saliva al primo piano e per gli scatoloni ammucchiati in modo disordinato e poco decoroso in vetrina.
All’angolo di via Niccolini c’era un negozio di borse, valigie e accessori appartenente a un cinese di terza generazione, col figlio sposato ad un’italiana e un nipotino, che mi raccontava che arrivando a Milano dalla Cina decenni prima aveva un unico desiderio: integrarsi e diventare milanese. E che la nuova ondata di immigrazione di cinesi analfabeti proveniente dalle campagne non la capiva neanche lui; era convinto che sarebbero diventati dei disadattati anche nelle metropoli cinesi, Shangai o Pechino. Emigrando a Milano hanno un unico obiettivo di medio termine: lavorare come muli per arricchirsi in fretta e, dopo una ventina d’anni, tornare a morire in Cina. Ecco perchè erano chiusi tra loro, rifiutandosi di imparare l’italiano e di adeguarsi alle abitudini della città che li ospitava. Ma ai figli nati in Italia di questi lavoratori indefessi interessava arricchirsi diversamente, più rapidamente, non rimanendo con i bandoni sempre mezzi aperti anche di notte e nei giorni di festa e dormendo in un angolo del negozio separato col cartongesso. Le seconde generazioni di cinesi avevano iniziato a raggrupparsi in bande semi-mafiose per fare soldi in maniera più rapida e massiccia. Ricordo con sgomento che a pochi passi dal mio condominio alcuni cinesi ventenni si erano sparati e uno di loro, con un bel tatuaggio sulla spalla, era stato ammazzato (qui l’articolo). Per fortuna una decina di giorni prima del rogito già fissato per la vendita del mio appartamento. E pensare che quando abitavo a Milano dicevo a tutti: “Si, certo, è pieno di cinesi ma lavorano e basta. Non sono pericolosi. Che fastidio danno?“.
Il fastidio erano i carrellini per strada e i parcheggi selvaggi di auto e camioncini per acquistare pezze di basso valore all’ingrosso da rivendere in mercati e negozi e i cinesi accovacciati per terra a fumare e a sputare. Storie di classi scolastiche di prima elementare con 22 bambini cinesi, 1 egiziano e 2 italiani. Stavo cercando una nuova casa in una zona in cui non sentirmi (o non far sentire mio figlio) in minoranza etnica. Ricordo i lenzuoli ai balconi di chi aderiva al comitato ViviSarpi per cercare di riportare il quartiere agli antichi splendori, vietando il commercio all’ingrosso e trasformando via Sarpi in strada pedonale.
Si, perchè via Sarpi a Milano prima degli anni ’90 era la via dello shopping dei milanesi con boutique, alimentari, edicole, librerie, enoteche, ecc proprio come via Gioberti lo è oggi a Firenze. Negli anni ’90 gli stessi negozi al dettaglio sono diventati cinesi aperti a tutti mentre nel 2000 la specializzazione è diventata più netta e i negozi sono diventati esercizi commerciali cinesi per cinesi (agenzie di viaggio, negozi di informatica e telefonia, ecc.). Ammettiamolo: ai milanesi che possedevamo una proprietà in zona Sarpi non è parso vero di poter vendere il proprio fondo commerciale a un prezzo maggiorato del 20% /30% e pagato in contanti dai cinesi (in una valigetta, narra la leggenda). Così ha avuto inizio l’ingrosso, osteggiato dai cittadini e, in ritardo, anche dal Comune. So che ultimamente le cose sono migliorare e la comunità cinese dialoga di più con quella dei cittadini italiani pre-residenti in zona Sarpi (qui un articolo).
Ho già vissuto tutto questo a Milano, in zona Sarpi. E non mi è piaciuto, anche se non sono razzista. Sarei contenta se i cinesi aprissero negozi in cui vendere il loro meraviglioso artigianato (abiti in seta, mobili laccati, porcellane decorate, ecc.), Aprirei le porte a chi fugge da guerre, carestie, ingiustizie civili e sociali. Ma l’invasione cinese porta un tipo di attività commerciali che non mi piacciono. E la comunità cinese è talmente forte e chiusa che simile chiama simile. E temo che zona Gioberti a Firenze sarà invasa. Peccato, erano proprio belli i negozi di via Gioberti a Firenze!