Con un gruppo di amiche, abbiamo deciso di festeggiare la ritrovata zona gialla della Toscana andando a visitare ogni settimana un museo diverso, compresi quelli in cui ancora non eravamo mai state. Tra questi, abbiamo fissato una visita al Museo dell’Opificio delle Pietre Dure, museo nato dal laboratorio di restauro che, da secoli, rappresenta un’eccellenza in tutto il mondo. Ci ha accompagnato una guida appassionata: Annalisa Innocenti, dell’Associazione Amici dell’Opificio (Opificio Friends) che ci ha condotto nella storia e nei segreti del Museo.
Storia dell’Opificio delle Pietre Dure
L’Opificio delle Pietre Dure nacque a Firenze per volontà Cosimo de’ Medici in vista della realizzazione delle decorazioni previste nella Cappella dei Principi nella Basilica di San Lorenzo. La manifattura granducale aveva il compito di recuperare dalla Toscana, dall’Italia e da tutto il mondo allora noto, tutti i tipi di pietra, dura e tenera (marmi), che servivano per il progetto della cappella (e non solo). Ancora, nel cortile dell’Opificio, al lato della biglietteria, prima dell’ingresso al museo, si possono vedere dei massi di pietra, dal valore inestimabile, rinvenuti in scavi di antiche tombe romane o provenienti dall’Africa (ormai esauriti in miniera o che è vietato asportare). Le pietre arrivavano a Firenze sull’Arno con navi che partivano da Livorno attraverso Pisa, dove la famiglia Medici mandava i propri addetti a tagliare gli enormi massi in modo grossolano. La Corte era il deposito dell’epoca e tuttora si possono vedere massi di porfido rosso e di altro materiale, ormai raro e prezioso. Le pietre venivano poi rimpicciolite in ciottoli o lastre e tagliate a seconda delle lavorazioni.
Inizialmente la manifattura era presso le Gallerie degli Uffizi, poi fu trasferita a San Marco mentre a fine ‘700 grazie al Granduca Ferdinando de’ Medici nasce l’Opificio delle Pietre Dure, con un soprintendente e un pool di personale specializzato (tagliatori, levigatori, coloristi, ecc.) che lavorava come in catena di montaggio, seguendo regole ben precise dettate dall’esperienza. In seguito, il granduca Leopoldo soppresse alcune compagnie religiose e i relativi monasteri, conventi e ospedali perciò l’Opificio si spostò nello spazio che ospita la Galleria dell’Accademia attiguo alle Belle Arti e al Conservatorio musicale. L’ingresso autonomo da via degli Alfani fu aperto a metà ‘800, mentre prima si accedeva dalla Galleria dell’Accademia. Con la fine del Granducato, l’Opificio passò un periodo di declino, finchè non fu nominato un direttore visionario, il pittore Edoardo Marchionni, su input del Presidente del Consiglio Bettino Ricasoli, che intendeva ridare smalto all’eccellenza fiorentina del laboratorio di restauro, unico al mondo (a cui segue il laboratorio di Roma).
Tuttora a Firenze il laboratorio si occupa del restauro di statue non sono in pietre dure ma anche di opere e manufatti in bronzo, terracotta, vetro e oreficeria. Sono possibili visite guidate organizzate dall’Associazione Amici dell’Opificio in tutti i laboratori, escluso quello di oreficeria, perchè troppo piccolo. Dopo l’alluvione di Firenze del ’66, in Fortezza da Basso si allestì un laboratorio per il restauro della pittura, sempre preceduto dalla fase diagnostica: i dipinti tessili e lignei, infatti, vengono trattati come un vero e proprio malato da curare. Adesso il laboratorio degli Arazzi è ospitato da uno dei piani alti di Palazzo Vecchio, con una grande vasca per il lavaggio e la colorazione dei tessuti. Merita una visita anche solo per la magnifica vista che offre. Se si è interessati, occorre tenere occhio le aperture straordinarie previste dal Ministero dei Beni Culturali e le visite guidate a pagamento organizzate dall’Associazione.
Si decise di aprire il Museo dell’Opificio delle Pietre Dure nel momento in cui la partecipazione a bandi pubblici e la realizzazione di oggetti artistici per privati non bastava più a sostenere le finanze del Laboratorio. Inizialmente si ospitarono i manufatti artistici che non avevano trovato collocazione nel luogo per il quale erano stati commissionati, iniziando proprio dalle formelle per la Cappella dei Principi di San Lorenzo. Queste opere d’arte furono affiancate da alcune pregevoli realizzazioni destinate al libero mercato, prodotte nel periodo di massimo fulgore dell’Opificio e rimaste invendute.
La visita al Museo dell’Opificio delle Pietre Dure
Sulla parete destra della sala di ingresso del Museo, sono esposti dei veri e propri quadri con paesaggi e scene di genere dell’artista Giuseppe Zocchi poi realizzati in pietre dure per conto del Granduca di Lorena, che li espose nella sua pinacoteca privata a Vienna. Alcune tavole, invece, rappresentano il bozzetto per realizzare superfici di tavoli, rettangolari oppure rotondi, arricchiti da scene di frutta, fiori, conchiglie o elementi mitologici.
Entrando nella prima sala del Museo si nota la scultura di porfido rosso, pietra non solo rara ma anche difficilissima da lavorare, levigata con polveri abrasive che l’hanno resa lucente. Avvicinandosi alle opere si può notare la maestria con cui vengono realizzati alcuni ritratti ma, quasi sempre, soggetti floreali e naturalistici, più adatti alla tecnica. I dettagli sono curati alla perfezione perchè ogni addetto era specializzato in una specifica mansione: fiori, foglie, colori, taglio, levigatura, ecc. Ogni singolo colore e/o sfumatura dei manufatti è stato realizzato con pietrine diverse. Per un piccolo pezzo di terreno, per esempio, possono essere necessarie fino 250 pietrine di colori dai toni terrosi, unite insieme con tecniche che impediscono di vedere le giunte.
Tra le opere degne di nota, ricordiamo le piccole formelle con paesaggi, fiori, ghirlande e stemmi realizzate, ma mai collocate per la modifica del progetto, nella Basilica di San Lorenzo (vedi sopra); due realizzazioni della Madonna di SS Annunziata, a cui i fiorentini sono molto devoti, col lavoro del fruttista in primo piano; un mobile con cassetti decorati in pietre dure di solito con un cassettino segreto. Importando da tecnica dai maestri milanesi, si iniziarono a produrre anche a Firenze manufatti in cristallo di rocca.
Il piano superiore è destinato all’area didattica. Alle pareti poggiano alte bacheche con tutti i tipi di pietra, divisa e catalogata per colore e tipologia. In mezzo si trovano diversi tipi di bancone destinato alla lavorazione: vere e proprie aree autonome, con tutti gli strumenti e i materiali necessari e un leggio per posizionare il disegno del manufatto da realizzare. Il taglio delle pietre avviene, ancora oggi, ruotando di pochi millimetri un filo metallico bagnato da una pappetta composta da polvere abrasiva e acqua.
Nelle piccole bacheche laterali, invece, si possono osservare i singoli passaggi della lavorazione dal modello pittorico alla scelta dei colori, dal ritaglio su base lavagna dei pezzettini all’incollatura con colle naturali (cera d’api, ecc.) sciolte e poi spennellate. La fase della lucidatura è estremamente delicata perchè occorre levigare senza graffiare il manufatto. Sulle colonne sono esposti alcuni deliziosi quadretti che rappresentano momenti della vita di corte per ora della giornata e per stagione dell’anno. Nelle ultime teche sono esposte le opere che hanno vinto un bando fortemente voluto dal direttore Lando Bartoli insieme all’artista miliardario americano Richard Blow, innamorato della tecnica, per rinnovare l’uso delle pietre dure mostrando la sua duttilità nel rappresentare lavori contemporanei. L’opera vincitrice è una formella realizzata su bozzetto di Alvaro Monnini.
Nella sezione del museo che porta verso l’uscita, troviamo la sala dedicata alla tecnica della scagliola, tipica dell’Emilia Romagna (considerata il commesso dei poveri), in cui il gesso veniva colato e poi rifinito con la pittura. Una volta seccato, appare simile ai manufatti in pietre dure. Altra tecnica, invece, vede la pietra paesina dell’Arno con le sue venature naturali, come base e ispirazione per piccole opere pittoriche. Sono esposti i lavori che rappresentano gli ultimi tentativi dell’Opificio di sfruttare gli influssi in voga, quali l’artdecò e i rimandi giapponesi (nella fioriera da sala), per rendere ancora commercialmente appetibile la tecnica con realizzazioni meno sofisticate nella fattura e più piccole nelle dimensioni. Al centro dell’ultima sala è esposto un vaso incompiuto su progetto del direttore Edoardo Marchionne con fiori sia in rilievo che realizzati con la tecnica delle pietre dure.
Accanto alla Scuola di Alta Formazione in Tecnici per la Conservazione e al Museo, dell’Opificio delle Pietre Dure, molto importante è l’opera dell’Associazione Amici dell’Opificio di cui fa parte Annalisa Innocenti che ci ha accompagnate con passione e competenza tra le sale e le opere esposte. L’associazione accompagna gruppi di persone interessate, di Firenze o di tutto il mondo, in visite guidate della durata di 2 ore nei laboratori (il costo è di 400€ per 20 persone che viene dimezzato per le scolaresche). Le entrate servono ad identificare fornitori di materiali, spesso difficili da trovare, necessari per lavori straordinari e urgenti di restauro a cui i soci possono assistere con grande emozione. Aiutiamo, dunque, l’associazione diventando Soci Ordinari (80€ la membership) e passando parola (qui il link) a chi ama questa complessa e raffinata arte, eccellenza italiana nel mondo!
Informazioni pratiche
Il Museo dell’Opificio delle Pietre Dure è in via degli Alfani, 78 nel centro storico di Firenze. In zona gialla le sue sale sono aperte al pubblico dal lunedì al venerdì dalle 8.15 alle 14.00. Il costo del biglietto intero è 4,00€ con riduzione a 2,00€ (gratuito se si è in possesso del biglietto delle Gallerie degli Uffizi emesso al massimo 5 giorni prima).
L’Associazione Amici dell’Opificio (Opificio Friends) nasce nel 2014 e prevede diverse forme associative da 80€ all’anno (Socio Ordinario) a 200€ (Benemerito) e 3.000€ (Sostenitore). Lo scopo principale è quello di promuovere l’attività dell’Opificio dal punto di vista storico, del suo laboratorio di restauro e della Scuola di alta formazione (SAF) per tecnici della conservazione. Tra i vantaggi per i soci, oltre all’accesso libero al museo, un catalogo e il distintivo dello stemma mediceo smaltato, la possibilità esclusiva di visitare luoghi con opere soggette a restauro.