Grazie alle iniziative organizzate per la Giornata della Memoria, ho scoperto un museo nuovissimo, quello del Memoriale di Auschwitz a Firenze, inaugurato poco prima dell’emergenza COVID per ospitare un’opera artistica creata dall’artista Mario Samonà per il Blocco 21 del campo di concentramento di Auschwitz. Ha prenotato la visita guidata, obbligatoria per accedere al Museo, la mia amica Simona e, in una piovosa mattina di gennaio, ci siamo immerse in una delle pagine più disumane della storia dell’umanità.
L’opera nasce dall’interessamento dell’ANED (Associazione nazionale ex deportati nei campi nazisti) col contributo di alcuni intellettuali dell’epoca, coinvolti a titolo personale nello sterminio, tra cui lo scrittore Primo Levi, il compositore Luigi Nono e il regista Nelo Risi. Si tratta di un’opera monumentale, un vero e proprio percorso immersivo lungo 80 metri con un’imponente spirale in legno, realizzata negli anni ’70 dallo studio BBPR degli architetti Lodovico e Alberico Belgiojoso. A differenza del Memoriale di Carpi, a cui hanno contribuito artisti del calibro di Guttuso e Picasso, quest’opera, inaugurata nel 1980, è stata pensata per essere inserita nello spazio del Blocco 21 di Auschwitz. Fu poi oggetto di una discutibile vicenda che prima portò alla sua chiusura al pubblico, accessibile solo su prenotazione, senza musica e in stato di semi-abbandono. Viene restituita all’Italia per la minaccia di smantellamento da parte della direzione del Museo che considerava l’opera troppo artistica e poco informativa (probabilmente il clima del revisionismo impediva l’utilizzo di simboli legati al regime comunista). Dopo accurato restauro ad opera dell’Accademia di Brera, il Memoriale di Auschwitz trova il suo spazio a Firenze, all’interno della ricostruzione della baracca del Blocco 21.
Il contesto storico verso i campi di sterminio
Al primo piano alcuni pannelli mostrano foto, immagini e testi per descrivere il contesto che ha visto la nascita e la vittoria del fascismo (con Mussolini) ma anche del comunismo (con Gramsci) in Italia. Primo Levi insiste sul fatto che luci (l’antifascismo) e ombre (il fascismo) sono nate insieme. Ma come si è arrivati alle deportazioni? Tanti artisti, peraltro, simpatizzavano per Mussolini che, ai tempi della Marcia su Roma, si presentava come un rivoluzionario diventando però via via più violento (Matteotti e Don Minzoni morti ad opera di squadristi fascisti). Nel 1929 nasce il Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato che dava il diritto di torturare e incarcerare chi non era allineato alle idee del regime.
Nel 1936 con l’invasione dell’Etiopia anche l’Italia diventa protagonista della triste pagina del colonialismo intriso, per di più, di razzismo. Di fatto esiste solo UNA RAZZA, quella UMANA, ma riviste ‘scientifiche’ dell’epoca, come “La difesa della razza“, mostrano con l’immagine di copertina i luoghi comuni che agevolarono le deportazioni: un volto biondo e orgoglioso da statua romana, una bella e giovanissima ragazza africana e un ebreo con naso adunco e fronte sporgente, tese a dimostrare la superiorità della razza ariana sulle altre. Si parlava di leggi ‘razziali’ ma, di fatto, sono leggi razziste, fatte per creare distanza tra i soldati italiani e le donne eritree, e diventano anti-semitismo quando impongono il divieto per gli ebrei di entrare nei negozi, andare a scuola, ecc. Il consenso della maggioranza aumenta con la negazione dei diritti per le minoranze finchè Mussolini si dimette e viene imprigionato senza far cessare le violenze che proseguono con la Repubblica di Salò che si allea con i nazisti tedeschi. Il re Vittorio Emanuele III firma l’armistizio e fugge al Sud dove arrivano gli alleati.
L’Italia è divisa in due, al Nord ci sono i tedeschi alleati dei fascisti mentre dal Sud avanzano gli alleati americani che liberano l’Italia dal regime. Le prime deportazioni nei campi di concentramento riguardano i soldati (oltre 350.000) che non aderiscono al nazismo che sono giustiziati o deportati in campi militari. In Italia le deportazioni hanno interessato circa 8.500 ebrei (rispetto ai 101.000 ebrei olandesi) sia perchè sono iniziate in ritardo, sia perchè molti hanno nascosto e salvato intere famiglie (un pannello illustra i flussi delle deportazioni). Quando la guerra finisce, c’è bisogno di tempo per elaborare quanto accaduto. L’opera “Se questo è un uomo” di Primo Levi, scritta di getto dopo la liberazione, fu rifiutata da tante case editrici che la trovavano inopportuna e fu pubblicata inizialmente a sue spese diventando un best-seller solo 10 anni dopo. Iniziano a realizzarsi i primi memoriali tra cui quello della vedova italiana Hilda Lepetit che compra un lotto di terreno ad Ebensee dove il campo di concentramento veniva smantellato, e incaricò l’architetto Giò Ponti di realizzare un essenziale memoriale dedicato al marito, il Monumento Lepetit. Segue il memoriale realizzato da Mario Labò a Mauthausen e, importante, quello di Carpi con opere di artisti prestigiosi a livello mondiale (Guttuso, Picasso, ecc).
La Toscana, Prato e Firenze in primis, hanno adottato l’iniziativa delle pietre d’inciampo, economica e fruibile, pensata dall’artista tedesco Gunter Demnig per depositare, nel tessuto urbanistico e sociale delle città europee, la memoria diffusa dei cittadini deportati nei campi di sterminio nazisti. Vengono iscritti i nomi delle persone deportate proprio sulle pietre del luogo in cui avvenne il fatto e noi, calpestandole, richiamiamo subito alla memoria uno degli episodi dell’olocausto. All’uscita ci sono alcune storie di soldati e di civili deportati, per dare un volto e un nome alla tragedia.
L’opera del Memoriale dell’artista Mario Samonà
La narrazione di raccordo dell’opera pittorica è a cura per la parte testuale di Primo Levi, sopravvissuto ad Auschwitz, mentre la musica di Luigi Nono ci accompagna nel nostro percorso con la sua composizione “Ricorda cosa ti hanno fatto in Auschwitz“, già pronta e donata al Memoriale. Questo rende ancor più suggestiva l’opera dell’artista Mario Samonà che ha prodotto oltre 500 metri quadri di pittura cimentandosi, lui che era un astrattista cosmico, con il figurativo prendendo spunto da foto e bozzetti dell’epoca. La regia dell’opera è di Nelo Risi, fratello del più famoso Dino, coinvolto in prima persona perchè sposato con la scrittrice ungherese Edith Bruck, deportata ad Auschwitz.
Si tratta di artisti ispirati che hanno lavorato all’opera col cuore. Le foto dello studio illustrano le fasi del montaggio e dello smontaggio dell’opera ad Auschwitz. Saliamo al primo piano dove vediamo il Blocco 21 ricostruito. I colori chiave dell’opera scelti da Samonà sono 4: il nero del fascismo, il rosso dell’antifascismo, il giallo della stella di David e il bianco della liberazione (che appare solo alla fine, luminosissima, in una scritta in ebraico). Mario Samonà era allievo e amico di Giacomo Balla che, al contrario, appoggiava il fascismo e lo celebrò con un dipinto sulla Marcia su Roma.
Ci immergiamo nell’opera resa ancor più suggestiva dalla musica che ci trasporta nel periodo buio delle deportazioni. In alto, grandi fasce pittoriche mostrano la luce allo zenit, cambiando colore via via che ci si addentra nello spazio che ripercorre la storia tra luci e ombre di quegli anni. Il pavimento è realizzato da listelle di legno, come i binari dei treni che portavano gli ebrei nei campo di concentramento. Si vedono i volti di Gramsci attorniato da operai festanti e Mussolini alla Marcia di Roma circondato da ufficiali in nero. Tanti i ritratti evanescenti di persone che scompaiono come Don Minzoni e Matteotti, con le date della loro morte e ancora Salvemini, Gobetti, Croce. Avanzando i ritratti diventano evanescenti, come le idee che appaiono e scompaiono, per inquadrare il contesto storico che ha portato alle deportazioni.
Si passa alla sezione successiva del Blocco 21 dedicata ai campi di concentramento con donne nude e uomini emaciati, alcune delle scritte beffarde presenti ad Auschwitz (“A ciascuno il suo”, “Il lavoro rende liberi“, ecc.). Non manca un gruppo di loghi di grandi aziende, soprattutto tedesche, che si sono arricchite col lavoro dei deportati, perchè nessuno possa affermare di non sapere. Alla fine la lucente scritta bianca in ebraico “Che questo ti faccia ricordare” e le ultime strisce in cui Mario Samonà diventa nuovamente l’artista astratto con la porta di uscita dal Blocco21, parte integrante dell’emozionante installazione. All’uscita, ci sono i numeri e qualche nome e foto di deportati dalla Toscana e allestimenti temporanei, nel nostro caso, una mostra fotografica.
Qui un breve video dalla fanpage del MUSE girato nel Memoriale di Auschwitz a Firenze
Informazioni pratiche
Il Memoriale di Auschwitz a Firenze è stato inaugurato poco prima dell’emergenza ed è a Firenze in viale Giannotti, 81 – 85 al lato dell’IperCoop di Gavinana, negli spazi dell’EX 3. Adesso si può visitare in piccoli gruppi di massimo 14 persone (causa COVID) gratuitamente con visita guidata previa prenotazione (qui il link per procedere). Un referente del MUSE illustrerà in modo chiaro i pannelli storici di contesto e con passione gli artistici dell’opera immersiva esposta al primo piano.