Lunedì 22 aprile da Marrakesh a Fez in treno
Fatto con dispiacere il check-out dallo splendido riad che ci ospitava a Marrakesh (qui il post), testiamo l’efficienza e praticità delle linee ferroviarie marocchine (suggerimento del fotografo Nico Avelardi). Dopo aver contrattato col tassista una corsa per la stazione a 50dirham (circa 4 euro), facciamo il biglietto per 3 persone in seconda classe nel treno e il biglietto Marrakesh-Fez viene 480dirham (meno di 45euro) per un viaggio di 6 ore e mezzo. Vogliamo parlare delle stazioni ferroviarie del Marocco? Nuove e splendenti, architettonicamente dei capolavori e sicure! Ci accomodiamo una sala d’attesa da cui accediamo al binario del treno e troviamo la nostra carrozza e il nostro posto … in uno dei tre è seduto un signore anziano che ci dispiace far alzare. Ma arrivamo gli altri 5 occupanti della carrozza, 5 ragazzi spagnoli rumorosissimi, e siamo costretti a chiamare il controllore per far spostare il signore anziano.
In treno giochiamo a carte, studiamo storia e geografia, leggiamo e, puntualissimi, spaccando il secondo arriviamo a Fez. La solita contrattazione col tassista che, per 40 dirham, ci porta a Bab Guissa, la porta vicino a cui c’è il nostro riad e, in rifacimento, il lussuoso hotel di lusso Palais El Jamai. La solita guida improvvisata importuna ci vuole aiutare a trovare l’hotel ma sbaglia strada, lo troviamo da soli e lo liquidiamo freddamente. Ci accoglie Omar dandoci il benvenuto col consueto tè alla menta versato dall’alto (cosa che fa tanto divertire Franci). La nostra camera è al piano terra attaccata alla hall dove si fa colazione e la camera è freddina perchè il tempo non è il massimo (e sarà ancor più fredda il giorno dopo, con la pioggia che cade tutto il giorno a Fez). Per quello che spendiamo, va sin troppo bene però, ecco, non è proprio quello che mi sarei aspettata …
Dopo il check-in, sentiamo le prime spiegazioni da Omar, prenotiamo una visita guidata per il giorno dopo a 40 euro per 6 ore e ci avventuriamo nella medina di Fez che è enorme (un ovale con diametri di 5 km dall’alto in basso e 8 km in larghezza). La medina di Fez è molto più autentica e arretrata di quella di Marrakesh, ormai più turistica e leccatina. Cattivi odori, botteghe di ogni bene, corner di arrosticini dietro le macellerie, tappeti e spezie, magliette cinesi e babouche difficili da valutare, dolci zuccherosi e frutta succosa, porcellane (chissà quanto originali) e passamaneria dorata. Un universo di merce di tutti i tipi esposta metro dopo metro, chilometro dopo chilometro. Entriamo in laboratorio di ceramica dove alcuni lavoranti stanno decorando del vasellame e in una pelletteria dove artigiani cuciono pouf e borsoni, in un negozio di tappeti dove il venditore ci dice che non dobbiamo comprare nulla ma è solo contento di averci conosciuto proponendoci rari tappeti berberi e fini kilim del deserto (che troviamo ad ogni angolo quindi qual è il prezzo giusto? Quali sono quelli originali e quali quelli tarocchi? Ah saperlo!). Come al solito, nelle medine marocchine ti senti sempre un po’ preso in giro ma il vero problema è un altro: come si fa a capire se sono vere le storie che ti raccontano e se la merce è davvero fatta a mano in loco e non prodotta industrialmente in Cina?
Attraversiamo porte di legno intagliato, minareti con bianchi intarsi in stucco, vicoletti con pareti blu, hamman con zellige di tutte le forme e i colori, madrasse con scritte in arabo e botteghe, botteghe, botteghe di tutti i tipi fino ad arrivare alla splendida porta blu, Bab Boujloud, dalla parte opposta della medina, costruita all’inizio del XX secolo, molto interessante per la sua posizione strategica, i suoi elementi architettonici e l’equilibrio delle decorazioni. Accanto alla porta blu c’è un bancomat a cui attingiamo (io prelevo 2.000 dirham, circa 189 euro compresa provvigione, che mi bastano fino alla fine del viaggio). Ci fermiamo a cena da Yalla Yalla, un baracchino di streetfood locale con veranda, essenziale all’europea, con una zuppa hariri, nuggets di pollo e altre amenità al costo di 200 dirham in totale. Si son fatte le 21.00 e decidiamo di tornare al Riad riattraversando la medina in direzione opposta. Però si fa scuro, le botteghe hanno chiuso e a un certo punto le solite, invadenti guide ci dicono che la Porta da cui siamo passati è stata chiusa (sarà vero?) e altre fandonie e si offrono di ‘aiutarci’ a tornare al Bab Guissa. E che dobbiamo fare? Accettiamo. Arrivati in dirittura ci dicono che lo fanno per aiutarci “Italiani brava gente”. Ah grazie, allora. Beh no 100 dirham. 100 dirham? Facciamo 50 dirham. Ecco, l’inculata quotidiana ce la siamo di nuovo beccata. Che noia!
Questo comportamento inizia a starci stretto ma ci rendiamo conto che siamo nella città vecchia, dove le persone borghesi di Fez non vivono più. Il fiume taglia la città in due: Fes El Balī, la zona antica, con le sue 9.400 viuzze della medina, i suq, le moschee e i palazzi sontuosi da ristrutturare, e Fes El Jdid, il nucleo moderno che domina il vecchio con gli edifici del governo, Dar El Makhzen, le ville private, il quartiere ebraico, il Mellah. Anche il fatto che la medina di Fez sia patrimonio UNESCO a me fa un po’ strano: è come se Taranto Vecchia decenni fa lo fosse diventato, un luogo in cui entravi vestito e uscivi nudo, dove la gente viveva di espedienti. Ma gli abitanti della medina di Fez non si sentono un po’ come allo zoo circondati da turisti che vogliono vedere una vita povera e faticosa in luoghi puzzolenti e fatiscenti? Loro non ne farebbero volentieri a meno? E allora ne approfittano spremendo il turista occasionale con insistenti richieste di fargli da guida a vendergli qualcosa a prezzi gonfiati. Ma questo è controproducente, infatti io e Fabio siamo ben contenti di aver prenotato la visita guidata il giorno dopo: almeno con un accompagnatore locale nessuno ci romperà le balle! E di notte decidiamo di non addentrarci più nella medina di Fez che, in tutta sincerità, così oscura e trafficata ci incute un po’ di timore…
Martedì 23 aprile – Fez visita guidata nella medina
La mattina dopo colazione, servita sempre dal gentilissimo Omar, arriva al Riad la nostra guida e ci incamminiamo per la medina di Fez con la scorta (!). La prima visita (20 dirham ad adulto) è nella meravigliosa Madrasa (o medersa) Al Attarine, a pochi passi dal mercato delle spezie e da quello dei profumi da cui prende il nome. Madrasa in arabo vuol dire scuola e si indicano con questo nome le scuole coraniche, con annessi moschea e alloggi per studenti, in cui ci si concentrava sull’insegnamento della lettura del Corano e della religione islamica. La costruzione fu commissionata dal sultano Merenide Ya’qub Abu Said Uthman II, e fu portata a termine del 1325. Nella sala della preghiera, incastonata nella parete, si trova la prima pietra della madrasa, con incisa la data del 725 (che corrisponde al nostro 1324 d.C.). Dall’ingresso, una grossa porta in legno decorata con inserti in bronzo scolpiti con motivi diversi, si oltrepassa un piccolo corridoio con le scale che portano al piano superiore con le stanze degli studenti. Oltrepassando un’ulteriore apertura in legno decorata si accede al cortile centrale al cui centro si trova una fontana in marmo. Le facciate ai lati della fontana sono entrambe formate da cinque arcate che poggiano su pilastri quadrati. Gli archi laterali sono supportati da colonne in marmo bianco e coronate da capitelli decorati con iscrizioni in arabo, sia in corsivo che in kufico. Oltre il cortile centrale, si arriva alla stanza della preghiera con un meraviglioso lampadario pendante in bronzo. La piccola nicchia ricca di decorazioni, è il mihrab: indica La Mecca e bisogna pregare orientandosi in quella direzione. La stanza della preghiera è sormontata da una cupola in legno di cedro, riccamente decorata. Sopra le zellij che abbelliscono una parte della parete, troviamo un fregio costituito da epigrafi in corsivo nere su sfondo bianco, seguito dalle meravigliose lavorazioni in stucco come festoni, iscrizioni in corsivo, motivi floreali e i tipici muqarnas (soluzione decorativa tipica dell’architettura musulmana, che consiste nel suddividere una cupola in tante piccole nicchie) e lamberquin (una sorta di drappeggio decorativo che pende da una porta o finestra). Il pavimento della madrasa e le sue pareti (fino a un altezza di circa 1,60 m) è coperto da piccole piastrelle in ceramica che formano un colorato motivo geometrico. La guida ci spiega che il tipico intaglio in legno del Marocco ha la funzione di far vedere all’esterno senza essere visti.
Usciamo dalla medersa e torniamo nei vicoli della medina, tra musei e moschee (dove non possiamo entrare), caravanserragli ristrutturati e fontane decorate. Passiamo parecchie volte da un mercato coperto. recentemente ristrutturato, di filati, tessuti, babouche. Il vantaggio della medina di Fez è che i vicoli sono talmente stretti e in salita e discesa, spesso con scalini, che i motorini non ci passano, sostituiti da tanti muli e alcuni carretti, ai quali occorre lasciare il passo. A un certo punto la guida ci fa scendere in un sotterraneo pieno zeppo di trucioli di legno dove un vecchino davanti a una stufa a legno ha il compito di buttarli dentro per farli bruciare; il suo lavoro è quello di riscaldare l’acqua degli hamman. Ci rendiamo conto?
La guida si ferma anche in tanti laboratori artigiani in cui ci vengono spiegate le tecniche di lavorazione di diversi materiali: uno di lavorazione di lampade in ottone. un intagliatore di legno di cedro, uno che fila e poi tesse al telaio le foglie di agave per ricavarne un filato fino al venditore di tappeti super-organizzato. Un palazzo a più piani dove al piano inferiore ha luogo lo spettacolo della vendita di tappeti per una nutrita comitiva di turisti mentre a noi tre e un’altra coppia italiana viene riservato il secondo piano. Il venditore è bravissimo in italiano ma, nonostante io mi soffermi su un ‘rarissimo tappeto berbero’ tinto in arancione con lo zafferano e dote di una donna berbera che ha dovuto cederlo suo malgrado (nello storytelling i venditori marocchini sono i numeri uno) e Franci su un tappetino kilim con dune di sabbia, non riesce a convincermi.
La guida ci chiede se abbiamo fame e si ferma davanti a un classico ristorante turistico per comitive del centro di Fez: quelli con i classici menu fissi con mezzeh, piatto unico e frutta finale (costo sui 150 dirham). Non ricordo proprio il nome o l’ho rimosso perchè comunque non era niente di che, superturistico e anche caruccio per Fez. Dopo pranzo continuiamo il giro fermandoci da un panettiere dove acquistiamo una panella e arriviamo, finalmente, alle tannery Chouara, le antiche concerie locali, viste dall’alto di un negozio di pellami. Avvicinandoci alle concerie l’odore aspro delle pelli e dei loro coloranti si fa pungente e, all’ingresso della bottega da cui le vedremo, ci regalano un rametto di menta da annusare. L’attività svolta dagli uomini che lavorano alle Concerie Chouara, le più antiche del Marocco, e il loro metodo di lavorazione delle pelli, è rimasto invariato da 1000 anni, dai tempi del medioevo. Le concerie sono costituite da numerose vasche in pietra disposte a nido d’ape, contenenti liquidi e coloranti diversi. Gli uomini lavorano immersi nelle vasche, alcuni fino alle ginocchia, altri fino alla vita, intenti a compiere manualmente la pulitura e la tintura del pellame, spostandosi da una vasca all’altra.
Le pelli vengono inizialmente immerse nelle vasche che contengono una miscela caustica di acqua, sale, calce e urina di mucca (le vasche più chiare) che serve ad ammorbidire notevolmente le pelli, eliminandone il grasso, resti di carne e peli. Dopo essere lasciate in ammollo per un paio di giorni, vengono grattate per eliminare pelo e grasso in eccesso. Prima di passare alla tintura, vengono nuovamente immerse in altre vasche che contengono acqua e sterco di piccione. Quest’ultimo, dal momento che contiene ammoniaca, rende le pelli notevolmente più morbide e malleabili, facilitando l’assorbimento del colore nel processo di tintura. Il conciatore, per ottenere la morbidezza desiderata della pelle, la pesta coi suoi piedi fino a un massimo di 3 ore all’interno della vasca.
Le vasche più scure contengono invece i coloranti naturali (così affermano) e vi sono immerse le pelli dopo aver subito i due trattamenti precedenti. Il rosso si ottiene dal fiore del papavero, il blu dall’indaco (un colorante di origine vegetale), dal legno di cedro si ottiene il marrone, per il giallo si usa lo zafferano mentre per il verde la menta, la polvere di melograno strofinata sulle pelli le rende gialle mentre l’olio d’oliva le lucida. Dopo il processo di tintura, le pelli vengono estratte dalle vasche e lasciate asciugare al sole infatti si scorgono sulle cime dei tetti o appese ai terrazzini degli edifici circostanti. Una volta terminata la tintura, il cuoio viene venduto agli artigiani, che provvederanno a trasformarlo. Gli artigiani creano ad esempio splendide pantofole marocchine, le babouches, oppure portamonete, borse, e diversi accessori.
Continuiamo il giro arrivando sino al fiume dove costruzioni moderne prendono il posto delle abitazioni antiche e, oltrepassando l’affascinante piazza Seffarine, dedicata alla manifattura del rame, con gli artigiani intenti a martellare sul metallo per darne la forma o la lavorazione preziosa, ci sediamo in un caffè davvero marocchino dove ordiniamo l’immancabile tè alla menta e caffè chiacchierando, a questo punto di politica e macro-economia, con la nostra guida, con la quale concordiamo che è interesse di alcuni paesi evoluti mantenere l’arretratezza in Africa, paese ricco di risorse naturali e umane incredibili. Passando attraverso il souk, tra banchi di lumache vive e di dolciumi immersi nel miele, foglie di verde menta e pesce fresco, pastasfoglia in lavorazione e olive colorate, cestini di lamponi e petali di rosa, teste di cammello e spezie profumate arriviamo al nostro Riad e ci riposiamo. Fabio non ha voglia di uscire di nuovo nella sporca e cattiva medina di Fez così ordiniamo la cena in Riad e non è male: tajine di pollo prugne e noci e cous cous misto (tanto per cambiare) al giusto prezzo. Infreddoliti da tutta l’umidità presi passeggiando per ore nella medina ci addormentiamo coperti fino all’orlo di piumini, coperte e pigiamoni. Pronti per la giornata successiva (qui il post) in cui ci attende il noleggio dell’auto per visitare i resti romani di Volubilis e la città imperiale di Meknes. Buonanotte!
Informazioni pratiche
A Fez abbiamo alloggiato nell’economico (ma valeva quella cifra là) Riad Bab Guissa 33 Zenjfour accanto a Palais Jamai a Fes El Bali (medina di Fez)
La prima sera abbiamo cenato nel moderno streetup Yalla Yalla in 6 Derby Mernissi subito fuori dalla porta blu di Fes in Marocco
[…] tra Volubilis e Meknes è stata tranquilla, lo ammetto, non vedevo l’ora di andar via da Fez. Non avrei retto un’altra giornata a schivare cialtroni importuni negli stretti, scuri e […]