Accadde per caso: siamo andati a fare una camminata all’abbazia di Monte Senario e, alla fine, ci siamo fermati in una trattoria di Bivigliano, per bere qualcosa prima di rientrare a casa. Su La Nazione ho letto che Joe Jackson sarebbe stato presente alle 18.00 al Libraccio di Firenze per presentare il suo libro “Gravità Zero” prima del concerto, unica data italiana, di Fiesole del giorno dopo. Non credevo ai miei occhi! Joe Jackson, il mio artista preferito, che conosco e amo dai tempi del liceo, dopo aver visto il suo video “Real Men” (e poi “Steppin’ out“) a Mister Fantasy, trasmissione musicale cult della mia adolescenza condotta da Carlo Massarini, la prima in Italia in cui venivano trasmessi i video-clip musicali. E che video!
Ebbene, con Fabio si va nel pomeriggio al Libraccio e, poco dopo, arriva davvero lui, un alto e allampanato Joe Jackson, sessantaquattrenne, tutto bianco (e, secondo Fabio, un po’ tirato dalla chirurgia plastica). Nell’intervista è insolitamente tranquillo, con dizione inglese perfetta (la cosiddetta “received pronunciation” ossia “the standard form of British English pronunciation, based on educated speech in southern England, widely accepted as a standard elsewhere“) quella che non ha bisogno di traduttori (e invece era presente il traduttore del suo libro “A cure for gravity“) perchè si capisce così com’è. E il suo sense of humour anglosassone che trapela qua e là, tra risolini sarcastici. Acquisto il libro con dedica e autografo e la mattina dopo acquisto i biglietti per il concerto al Teatro Romano di Fiesole. Emozionata come una groupie…
Joe Jackson e la mia adolescenza
Ho adorato Joe Jackson con tutta me stessa. All’epoca (e anche adesso) era un artista cult, di Jackson spopolava Michael (infatti precisai a mia madre, insegnante di lettere in una classe di scuola media di coetanei, che il mio era Joe, non Michael, non quello che piaceva a tutti, quello colto e alternativo). Ma io pure ero alternativa, mio malgrado: i miei non mi facevano uscire di casa, non mi facevano vedere la televisione (programmini insulsi tipo “Non è la RAI”), mentre mi facevano studiare pianoforte al conservatorio e, per evadere, leggevo libri. Ho riconosciuto subito l’artista Joe Jackson, il suo video in cui già all’epoca si parlava di omosessualità, la sua voce non banale, il suo piano appassionato. Ho acquistato l’ellepì “Night and Day” (1982) nel negozio di Taranto Dischi Blu di fronte al Liceo Ferraris, con tanta emozione (per il commesso biondino grande e affascinante che mi inibiva un po’) e mia sorella al mio fianco. Avevo 15 anni e l’ho ascoltato e riascoltato, imparandolo a memoria, testi e musica (qui la storia di “Steppin’ Out”), tuttora tra i miei album preferiti di sempre insieme a “The Nightfly” di Donald Fagen. E sono andata a ritroso acquistando tutti i suoi dischi dai rockettari e un po’ punk “Look Sharp!” e “I’m the man” del 1979 (un po’ punk, ska, reggae, mod … ma anch’io ero un po’ modette inside), “Beat Crazy“, lo swing vintage di “Jumpin’ Jive” e ho continuato a seguirlo in seguito, sino al 2000, acquistando tutti tutti tutti i dischi, non solo quelli con un senso compiuto (“Body and Soul“, il triplo “Big World” – tra i miei preferiti, “Blaze of Glory“) ma anche colonne sonore di film mai arrivati in Italia (“Mike’s Murder” e “Tucker“) o ellepì doppi in cui lui eseguiva una sola cover (“A Tribute to Thelonious Monk” dove Joe Jackson esegue il capolavoro “Round Midnight“). Eh si, vero, c’erano Graham Parker ed Elvis Costello, britannici e bravissimi anche loro, ma io adoravo Joe Jackson, la sua ambiguità, stilistica e sessuale, la sua mutevolezza, la sua tranquilla inquietudine, la sua classe, la sua bravura, la sua stranezza, la sua unicità…
Joe Jackson concerto e libro
Emozionata, dunque, mi siedo sulle pietre dell’affascinante Teatro Romano di Fiesole. Entra lui, affiancato dal suo storico bassista Graham Maby, lo stesso da 40 anni, e inizia da una canzone dell’ultimo album (che non conosco), “Fool“. Ma attacca tanti pezzi, uno per decade, degli ultimi 40 anni (qui la recensione con scaletta del concerto) finchè a metà di “You can’t get what you want (till you know what you want)” un black-out interrompe l’esibizione per un quarto d’ora (temevo fosse finita lì). Riprendono a suonare ma al secondo bis, la punkeggiante “Got the Time“, salta di nuovo l’impianto di amplificazione e, senza salutare, Joe Jackson va via. Concerto rovinato.
Ma rimane il suo libro autografato e con dedica “Gravità Zero” che divoro e scopro un’infanzia proletaria tristissima perchè Joe era malato di asma e bullizzato (preso in giro e picchiato) dai compagni perchè gli piaceva la musica e non il calcio. A scuola era un disastro in tutto, tranne che in inglese e in musica, e proprio la musica lo salverà. Entrato in un istituto tecnico, viene spronato a studiarla ed è ammesso con borsa di studio in due dei principali conservatori di Londra. Sceglie la Royal Academy of Music, che ha anche un’orchestra jazz, ma capisce che il conservatorio è il luogo in cui invece di far appassionare alla musica, si studia, con pochi slanci e zero volontà di sperimentazione, solo la tecnica (quanto approvo!!!). In parallelo suona con la band degli Edward Bears, poi in un Playboy Club, va convivere con la sorella di Graham Maby appena diciassettenne, poi va in tourneè con un gruppo che fa cabaret, i Koffee’n’Kream finchè le sue demo incise e spedite alle principali case discografiche non arrivano all’A&M che pubblica “Look Sharp!” ed è un successo. Si sposa pure, con l’unica (bellissima) ragazza di colore di Portsmouth, Ruth Rogers-Wright, ma il matrimonio è un fallimento (lei si drogava? lui era gay? who knows!?). Cosa insegna Joe Jackson nel suo “Gravità Zero” e con la sua altalenante carriera musicale? Che bisogna sempre seguire la propria strada, non porre limiti all’arte (e alla vita), essere se stessi, autentici e originali anche se incomprensi.
Grazie Joe Jackson, per aver reso la mia vita più bella con la tua musica emozionante e avermi fatto evadere dalla mia cameretta e sognare le mille luci di New York, i fumosi jazz club e tanto altro con le tue canzoni quando ero piccola. E aver continuato a far battere il mio cuore anche 40 anni dopo, moglie, mamma e adulta. Ma sempre una teenager, una groupie, quando si tratta delle tue canzoni.