Non solo guida a The Student Hotel (qui il post), ma anche visitatrice al Castello di Sammezzano, una delle rarissime opportunità di poterlo visitare grazie alle Giornate di Primavera di FAI (Fondo Ambiente Italiano). Le prenotazioni del Castello si sono volatilizzate in un quarto d’ora ma, per fortuna, io e Fabio ce l’abbiamo fatta prima.
La storia del Castello di Sammezzano
La nostra guida, Andrea, fa parte del Comitato FPXA (Ferdinando Panciatichi Ximenes d’Aragona), che cerca di promuovere e tutelare questo edificio unico. Il nome è quello, prestigioso, del nobile proprietario che ha restaurato il Castello con fantasia e perizia, rendendolo uno dei più incredibili esempi di architettura orientalista in Europa (e, forse, nel mondo). Ferdinando, tra l’altro, non era mai stato nei luoghi che hanno ispirato il suo restauro, nato dalla visione di immagini e disegni di palazzi orientali (marocchini, persiani, ecc.) che ha commissionato ad artigiani locali.
Il marchese Ferdinando Panciatichi Ximenese d’Aragona nacque a Firenze nel 1813 e morì a Sammezzano nel 1897. Diventò unico erede del patrimonio di due delle casate più nobili dell’epoca, Panciatichi e Ximenes, appunto, e, tra i beni, era compreso anche il Castello di Sammezzano. Ferdinando studiò privatamente con i migliori insegnanti e, alla maggiore età, intraprese il Grand Tour in tutta Europa, come tutti i ricchi rampolli dell’aristocrazia europea dell’800. Durante il viaggio, ma anche a Firenze dove, all’epoca, 2 su 3 erano stranieri, entrò in contatto con culture e lingue diverse e fu influenzato dalla corrente dell’Orientalismo, allora in voga. Ferdinando era esperto di scienze, filantropo, mecenate, collezionista e attivo in ambito culturale, imprenditoriale e politico. Faceva parte del Consiglio di Amministrazione di enti quali l’Accademia dei Georgofili, la Società di Orticultura, l’Accademia di Belle Arti, fu promotore del monumento a Dante Alighieri (VI centenario dalla nascita). Di idee liberali e anticlericali, fu consigliere del Municipio di Reggello e di Firenze e fu eletto due volte deputato del Regno da cui diede le dimissioni per uno scandalo che lo riguardò (contrario all’espropriazione dei palazzi del centro di Firenze – piazza d’Azeglio e via della Mattonaia – laddove sarebbero sorti i viali per Firenze Capitale, pare che, invece, li abbia venduti al Comune a un prezzo maggiorato). Si separò dalla moglie accusata di adulterio (ma anche lui la tradiva spesso e volentieri) e si ritirò nel suo adorato Castello di Sammezzano che, alla sua morte, fu ereditato dalla figlia maggiore Marianna Paulucci Panciatichi mentre il fratello Bandino fu diseredato e allontanato negli USA per disturbi cognitivi. Marianna era una scienziata di fama internazionale ma estremamente spendacciona (infatti ha venduto all’asta gli arredi originali del Castello).
L’orientalismo a Firenze
Dopo aver abbandonato la politica e la vita pubblica, Ferdinando Panciatichi Ximenes d’Aragona si ritirò nel Castello di Sammezzano che aveva il tipico impianto di una villa toscana seicentesca ottagonale con giardino centrale e un grande orologio all’esterno. Il palazzo presenta due entrate: Luna e Sole (e già gli esterni sono puntellati e diroccati). La villa è molto ventosa ed umida d’inverno ed estremamente calda d’estate. Ferdinando decise, e si dedicò per quasi 40 anni a questa missione: decorare ogni sala con un diverso stile orientaleggiante, unito a simboli della fiorentinità medievale e rinascimentale. All’epoca l’orientalismo era di moda a Firenze come dimostrano il IV Congresso Internazionale degli Orientalisti tenutosi a settembre 1878, un’esposizione di arte orientale a Palazzo Medici Riccardi e il Museo Indiano fondato nel 1886 dall’orientalista Angelo De Gubernatis all’interno dell’allora Regio Istituto di Studi Superiori (antenato dell’Università di Firenze) con sale affrescate e decorate nello stile del Punjab. Proprio i congressisti rimasero stupefatti della gita a Sammezzano raggiunto prima col treno poi con carrozze lungo la strada costruita appositamente dal marchese all’interno del parco. Il Parco stesso, prima romantico con vegetazione autoctona fu oggetto di innesti e di acquisti di alberi esotici e rari quali alte sequoie, cedri del Libano, pregiate magnolie, ecc. e arricchito con fontane, statue oltre al classico pratone.
Gli interni del Castello di Sammezzano
Il piano terra del Castello era adibito a ristorante e non merita una visita (a terra un cotto dozzinale e un bancone tipo bar che deturpano le sale attraverso cui siamo passati) mentre l’impegno indefesso del marchese è visibile al I piano. Passare da una sala alla successiva è come realizzare un viaggio virtuale in tutto l’Oriente, dalla Cina e l’Arabia fino alla Spagna. Le sale sono arricchite da motti, frasi e commenti, in latino ed italiano, che accompagnano i visitatori in un viaggio nello spazio e nel tempo.
La visita inizia dalla sala “Non plus ultra“, un motto della penisola iberica che spingeva i viaggiatori più impavidi e curiosi ad oltrepassare le Colonne d’Ercole. Colori ed elementi diversi e dissonanti sono fusi insieme in un insolito mix che unisce influenze spagnole-portoghesi (gli azulejos) ai fregi neo-moreschi, i gigli fiorentini agli scudi medievali (con lo stemma dei Panciatichi).
Si passa alla Sala da Ballo, completamente bianca ricca di delicati stucchi, segue la Sala degli Specchi, con vetrini su tutto il soffitto e il Corridoio delle Stalattiti, iper-colorato su modello dell’Alhambra di Granada con scritta di Dante. In una nicchia del corridoio, il marchese dice la sua sull’Unità d’Italia con una frase in latino del 1870 che, tradotta, recita: ”Mi vergogno a dirlo, ma è vero: l’Italia è in mano a ladri, esattori, meretrici e sensali che la controllano e la divorano. Ma non di questo mi dolgo, ma del fatto che ce lo siamo meritato”.
Continuando si passa dalla Sala dei Gigli, non fiorentini ma arabeggianti, alla Sala dei Musici, con vetri decorati a mano che necessitano di urgente restauro perchè stanno perdendo il loro colore originario, all’incredibile Sala dei Pavoni (vedi immagine in evidenza) che presenta i pennacchi medievali tipici del gotico inglese che qui assumono tutte le colorazioni dello spettro luminoso con effetto psichedelico (era la sala da pranzo). Passando dalla Sala dei Piatti incastonati sulla cupola del soffitto, si arriva all’ampia Sala degli Amanti, con dediche ai più famosi della storia da Ginevra a Isotta al cui lato è creata una cappellina, interamente rimaneggiata, con delicate decorazioni a stucco. Purtroppo gli arredi originali furono venduti all’asta prima della vendita dell’immobile e l’enorme lampadario di bronzo disegnato dal marchese presente nella sala, unico pezzo rimasto nel Castello, scomparve per un furto notturno. Si arriva così alla Biblioteca, una sala bizantina con decori che alternano colori accesi e stridenti tra loro (arancio, verde, blu, ecc.) e foglia d’oro. I volumi erano disposti non alle pareti ma in banchi in legno posti al centro della sala e sono stati acquistati dalla Biblioteca Nazionale di Firenze.
Gli interni e, a volte, gli esterni del Castello di Sammezzano sono stati location di alcuni film e video musicali tra cui “Il fiore delle Mille e una notte” di Pasolini, “Sono un fenomeno paranormale” di Alberto Sordi, “Giorni felici a Clichy” di Chabrol e valorizzato al massimo da “Il racconto dei racconti” di Matteo Garrone. Sono contenta di aver sfruttato una delle ultime occasioni di visitare il Castello di Sammezzano che, purtroppo, versa in pessimo stato. Si dice da anni che potrebbe essere venduto a una grande catena alberghiera in grado di rimetterlo a posto. La (triste) alternativa è che il Castello crolli definitivamente, se rimarrà chiuso e trascurato.
[…] dopo sala si dipana un mix di stili dall’orientalismo moresco, tanto di moda al periodo (ndr vai al post sul Castello di Sammezzano, principale esempio del genere) a cui si affianca il più elegante stile liberty, soprattutto […]