Due sabati all’anno la scuola San Giuseppe, in cui Franci frequenta la V elementare, organizza visite guidate per bambini e genitori, ogni gruppo con la sua guida. A fine novembre abbiamo avuto modo di visitare la Basilica di San Miniato al Monte a Firenze, che nel 2018 ha compiuto mille anni di vita dalla sua fondazione. Uno dei capolavori architettonici e artistici di cui la città in cui abbiamo la fortuna di vivere è ricchissima.
L’origine e gli esterni di San Miniato
Il cristianesimo si diffonde a Firenze nel 250 d.C. circa tramite soldati o mercanti provenienti dalla Grecia o dall’Asia (l’attuale Borgo dei Greci indicava il rione, fuori dalle mura cittadine, abitato da immigrati orientali). Tra i cristiani, oggetto di persecuzione, giunse a Firenze Miniato, probabilmente un principe (o un mercante) di origini armene, il primo santo martire cittadino. Dicono che, una volta decapitato, con la testa mozza sotto il braccio arrivò sul monte indicando il luogo in cui desiderava essere sepolto, laddove è stata costruita la Chiesa e, a seguire, la Basilica a lui intitolata.
Nel ‘500 Carlo Magno, in cambio di una grazia, lascia denaro sufficiente per costruire il Ponte Vecchio e la Chiesa di San Miniato al Monte che, nel 1018, viene integrata e arricchita dal vescovo Alibrando con l’obiettivo di realizzare la Gerusalemme celeste, contrapposta alla Gerusalemme terrena. La nuova basilica di epoca romanica abbraccia la vecchia chiesa e presenta una nuova facciata simile al Battistero di Firenze per la finestra centrale e l’uso del marmo bicolore (la cava di marmo rosa non era ancora stata reperita). L’esterno richiama la composizione architettonica interna della Basilica: con i cinque archi e le tre porte (le tre navate). Il mosaico mostra Cristo, a cui Miniato porge la corona, con le due dita alzate, a indicare la doppia natura, umana e divina, come in quelli visibili nelle Basiliche di Monreale e di Cefalù (se ci fossero tre dita, sarebbe la Trinità). L’aquila, invece, indica lo ‘sponsor’, la famiglia fiorentina di mercanti di tessuti Calimala che pongono il loro stemma in alto, sopra la Croce. Il simbolo del tortello diviso indicava il modo di separare e trasportare i tessuti sugli asini, mentre le figure mostruose rappresentano il male che viene vinto da Cristo. Gli uccellini posti sul timpano della finestra beccano il germoglio (ossia si nutrono di Cristo), l’anfora rappresenta l’acqua viva e i tre cerchi uniti simboleggiano la Trinità. La Basilica di San Miniato al Monte è piena di simboli medioevali, alcuni dei quali sono tuttora incompresi.
Un tempo l’abate di San Miniato al Monte era una vera e propria potenza perchè la Basilica era stata fortificata da Michelangelo nel 1519. Si è salvata dai bombardamenti durante l’assedio di Firenze perchè Carlo V coprì il campanile con dei materassi (escamotage che ha funzionato). Prestigioso è anche il Cimitero delle Porte Sante, davanti alla Basilica di San Miniato, in cui sono sepolti molti personaggi illustri di Firenze tra cui Annigoni, Cecchi Gori, Collodi, Coveri, Le Monnier, Meyer, Papini, Pratolini, Saviane, Spadolini, Stibbert, Vamba, Vespucci, Villari e Zeffirelli.
Gli interni e la cripta di San Miniato
La Chiesa è divisa in tre parti principali: la cripta, la parte dedicata ai fedeli e quella riservata ai monaci. La Sacrestia, che non sempre si trova aperta, è stata costruita alla fine 1300 al rientro in città di una delle famiglie più ricche di Firenze, gli Alberti, che possedevano numerosi terreni a Bagno a Ripoli. Tornano in città perchè Firenze è tornata ad avere un ruolo di importanza centrale e dal 1373 San Miniato al Monte ospita i monaci benedettini olivetani (con l’abito verde oliva, non bianco) ancora presenti. Nel 1529 l’Abbazia viene abbandonata dai monaci e diventa la sede dei soldati Lanzichenecchi che assediano e conquistano Firenze. Dopo il restauro del ‘900 i monaci olivetani tornano ad abitare l’Abbazia e tuttora pregano e producono miele, liquori e tisane in vendita nel negozio al lato della Basilica.
Torniamo alla Sacrestia a cui si accede dalla navata destra, decorata con un grande ciclo di affreschi, realizzati con una tecnica perfetta da Spinello Aretino, sulla vita di San Benedetto. Dal momento in cui a 12 anni San Benedetto, originario di Norcia, viene mandato a studiare a Roma sino al santo sul letto di morte, ogni affresco rappresenta in modo preciso e dettagliato, come in una graphic novel, gli episodi fondamentali della vita del santo, fondatore dell’ordine dei benedettini il cui motto è “Ora, Lege et Labora” (chissà perchè la parola ‘Lege’ non è stata tramandata). I miracoli del santo sono legati al mondo del lavoro come dimostra l’episodio dell’uomo seduto sulle rive del lago dopo aver perso la roncola, strumento per lui vitale, che riappare miracolosamente dall’acqua. E’ raffigurato l’episodio storico del re Totila che voleva smascherare San Benedetto, noto per saper prevedere il futuro, e gli mandò un suo servo vestito come il re. San Benedetto lo riconosce subito e il servo corre ad avvisare re Totila che si presenta, stavolta in prima persona, da San Benedetto. Questi gli prennuncia che vivrà altri 10 anni e gli chiede di diminuire le violenze perpetrate in Italia. Cosa che re Totila metterà in pratica diminuendo la sua crudeltà prima di morire.
Il mosaico sull’altare mostra il pavone, simbolo della morte e resurrezione, perchè perde e riacquista le sue splendide piume. Le finestre non sono state realizzare in vetro, allora costosissimo, ma in fine alabastro da cui filtra la luce soltanto nelle giornate di sole. Una delle cappelle, l’unica funeraria della Basilica, è intitolata al Cardinale del Portogallo Giacomo di Lusitania che morì a soli 26 anni mentre era di passaggio a Firenze nel 1459 e chiese lui stesso di essere sepolto a San Miniato a Monte. L’architettura, realizzata da Antonio Manetti, allievo del Brunelleschi, è dalla perfetta geometria in un periodo in cui si interpreta la realtà con i numeri, supponendo che agli uomini è dato di capire Dio con il ragionamento. La pianta della cappella è quadrata coperta da una volta a vela decorata da medaglioni mentre i bracci creano una pianta a croce greca con arconi. Lo scheletro dell’architettura è realizzato in pietra serena mentre pareti, volta e pavimento sono decorate con mosaici policromi. La tavola (una copia, l’originale del Pollaiolo è agli Uffizi) mostra San Vincenzo, patrono di Lisbona, San Giacomo che guarda verso la tomba del cardinale suo omonimo, e Sant’Eustachio. Il volto della statua del cardinale è rivolto verso di noi, non verso il cielo perchè intende parlare agli uomini non a Dio. Nella parte superiore sono da ammirare delle splendide terracotte invetriate di Luca della Robbia che mostra i cerchi dello Spirito Santo e due figure di donna, la prima è la Prudenza, col serpente e lo specchio mentre l’altra è la Giustiza, con la spada (non visibili ci sono anche le altre due virtù cardinali ossia la Fortezza e la Temperanza).
Scendiamo nella Cripta di San Miniato al Monte, la parte più antica della Chiesa (del XI secolo), con le 12 colonne disposte in 3 navate centrali e 4 laterali, con capitelli più piccoli e tutti diversi di origine romana recuperati in città. Nella cripta vi è la tomba di San Miniato e una finestra con pezzetti delle sue ossa (le reliquie un tempo erano importanti).
Tornando verso l’ingresso della Chiesa si nota l’affresco di San Cristoforo, protettore dei viaggiatori, che appena entrati non riuscivamo a distinguere per il passaggio dalla luce al buio (la Basilica è illuminata solo da strette feritoie). San Cristoforo aiutava i pellegrini ad attraversare il fiume in piena finchè un giorno non aiutò un ragazzino che, man mano che guadava il fiume, diventava sempre più pesante e gli rivelò di essere Gesù e di portare su di sè il peso del mondo. Il ricco pavimento, calpestabile solo in occasione dei matrimoni, raffigura i 12 segni dello zodiaco ossia i 12 mesi dell’anno e tramite le feritoie durante il solstizio d’estate si illumina il segno del Cancro mentre durante il solstizio d’inverno si illumina il segno del Capricorno (la scoperta che la Basilica fungesse anche da osservatorio astronomico è avvenuta nel 2018).
Degno di nota è ancora il Tabernacolo del 1.400 col crocifisso miracoloso che ricorda il miracolo di Giovanni Gualberto alla ricerca dell’assassino del fratello Ugo ma, una volta trovato, allargò le mani come Cristo in croce dimenticando i suoi propositi di vendetta. La leggenda narra che Giovanni e il suo nemico risparmiato salgono alla Basilica di San Miniato e si inginocchiano a pregare insieme e il Crocifisso a cui si rivolsero si piegò come per approvare il gesto di perdono. Giovanni Gualberto divenne monaco benedettino a Vallombrosa e poi portò con sè il Crocifisso miracoloso prima a San Salvi poi a Santa Trinita. Alcuni simboli del tabernacolo sono l’aquila, il diamante (a dimostrare che la fede dura per sempre) e lo stemma dei Medici.